Recovery Fund, Recovery Plan, Recovery bond e Next Generation EU tanti termini diversi e anche tanta confusione. Cerchiamo dunque di fare chiarezza e di capire cosa sono questi strumenti, al centro del dibattito politico, tra gli Stati membri e tra i rappresentanti dei diversi partiti politici. Partiamo dal Recovery Fund, che è il nome con cui è stato ribattezzato il Next Generation EU, un nuovo strumento, approvato dal Consiglio Europeo e creato per fronteggiare l’emergenza della pandemia da Covid-19.
Che cosa è quindi il Recovery Fund? Non è altro che un pacchetto di aiuti europei, che saranno concessi agli Stati Membri, colpiti dalla pandemia, destinando la maggior parte delle risorse proprio ai Paesi più colpiti. Tali fondi saranno erogati sulla base di obiettivi e progetti definiti dai Governi, all’interno dei propri piani nazionali di riforme, ossia all’interno dei cosiddetti Recovery Plan.
Ma come viene finanziato questo piano di emergenza?
Tramite i Recovery Bond, ossia dei titoli di debito europei garantiti dal bilancio dell’Unione Europea. Si tratta di strumenti obbligazionari da emettere sul mercato, per raccogliere i capitali da far confluire nel Recovery Fund e da distribuire agli Stati Membri.
L’emissione dei Recovery Bond segna un punto di svolta nella Storia dell’Unione, perché si tratta della prima volta in cui viene emesso uno strumento, che consente di condividere il debito tra i diversi Paesi Membri. Tuttavia, in seguito all’opposizione dei Paesi del nord come Olanda, Svezia e Austria, il debito condiviso con i Recovery Bond sarà esclusivamente quello futuro, che verrà accumulato per far fronte alla pandemia e non i debiti pregressi e futuri, come inizialmente richiesto da alcuni Paesi tra cui l’Italia. Dal punto di vista pratico, l’Europa emetterà i Recovery Bond, garantiti dalla solidità del bilancio comunitario, per prendere in prestito dagli investitori il denaro da far confluire nel Recovery Fund e poter finanziare i progetti degli Stati con tali fondi
In altre parole, per spiegare il rapporto tra tutti questi termini utilizzati, potremmo dire che il Recovery Fund è “il cosa”, ossia i fondi da utlizzare per far fronte all’emergenza, mentre i Recovery bond sono il mezzo per ottenere i fondi e il Recovery Plan “è il come” saranno utilizzati questi fondi.
Chiarite dunque le differenze tra i diversi termini, analizziamo un po’ più nel dettaglio le caratteristiche del Recovery Fund…
Si tratta di un fondo la cui capacità finanziaria ammonta a 750 miliardi di euro, suddivisi in 390 miliardi di contributi a fondo perduto e 360 miliardi sotto forma di prestiti, che si fonda su tre pilastri:
1. Strumenti che servono a finanziare i piani nazionali di ripresa e superamento della crisi elaborati dai singoli Stati membri
2. Misure volte a stimolare gli investimenti privati e sostenere le imprese in difficoltà
3. Iniziative per la ripartenza post-pandemia, le quali sono riconducibili agli ambiti della sanità e prevenzione, digitalizzazione, miglioramento e potenziamento delle infrastrutture e transizione verde verso la cosiddetta green economy.
Di questi 360 miliardi all’Italia, che sarà il maggior beneficiario, ne andranno 209 ripartiti in 81,4 miliardi a fondo perduto e 127,4 miliardi sotto forma di prestiti.
L’accesso a tali fondi è subordinato alla condizionalità del rispetto dello Stato di Diritto. Infatti, tale condizione prevede che gli esborsi possano essere congelati o ridotti, su decisione del Consiglio a maggioranza qualificata, qualora negli Stati Membri vengano gravemente lese l’indipendenza e l’imparzialità della giustizia, poiché, in tal caso, verrebbe a mancare la garanzia essenziale per l’accesso ai fondi. Proprio questa condizionalità è stata l’elemento della discordia, che ha rallentato il processo di approvazione del Recovery Fund e creato tensioni all’interno del dibatto politico tra i Membri dell’UE. Infatti, Polonia e Ungheria, Stati che più volte son stati ripresi dall’Unione su tematiche di giustizia e democrazia, si sono opposte alla condizionalità del rispetto dello Stato di Diritto ponendo il proprio veto al Consiglio europeo, precludendo l’unanimità necessaria per un’approvazione definitiva del Recovery fund. Veto che è stato ritirato dopo ore di lunghe trattative grazie alla mediazione di Angela Merkel con i leader di Polonia e Ungheria. Di fatto, l’accordo raggiunto dalla cancelliera prevede che il meccanismo dello Stato di Diritto entri in funzione in ritardo di almeno un anno e mezzo (quando si voterà in Ungheria), senza però metterne in discussione i principi che saranno poi applicati in modo retroattivo da gennaio 2021.
Come fa un Paese ad eccedere a questi fondi?
I governi dovranno inviare alla Commissione europea i Piani di ripresa e di resilienza, i cosiddetti Recovery Plan, entro fine aprile 2021. Tuttavia, la commissione ha incoraggiato gli Stati membri a sottoporre i programmi preliminari già da metà ottobre, ricordando anche che i piani nazionali saranno negoziati con le autorità comunitarie e dovranno essere oggetto di un via libera. Una volta presentato alla Commissione europea il Piano nazionale per la ripresa e la resilienza (Pnrr), la Commissione avrà a disposizione fino a 8 settimane per esaminare e proporre al Consiglio Ecofin l’approvazione del Piano, dopodiché l'Ecofin dovrà approvarlo a maggioranza qualificata entro 4 settimane. Dalla presentazione formale del piano fino all'approvazione, che poi darà la possibilità di accedere subito al 10% del finanziamento globale, potrebbero quindi passare mesi.
Per quanto riguarda la redazione dei Recovery Plan, necessari per ottenere i fondi, la Commissione Europea ha anche definito delle linee guida, da tenere in considerazione per la stesura dei piani. Tra queste, le principali riguardano la sostenibilità ambientale (in linea con l’European Green Deal), la digitalizzazione, il potenziamento delle infrastrutture, l’equità e la stabilità macroeconomica. Criteri questi che dovranno fungere da guida per la redazione dei piani dei vari Stati e a cui è vincolata l’erogazione dei fondi. Ad esempio, la Commissione europea ha proposto che almeno il 20% degli investimenti provenienti dal Recovery Fund siano utilizzati per finanziare la transizione digitale ed almeno il 37% alla sostenibilità ambientale, per realizzare la cosiddetta transizione verde, in linea anche con gli obiettivi dell’Agenda 2030, firmata a Parigi dai 195 Paesi partecipanti in occasione del Cop-21 (conferenza mondiale sui cambiamenti climatici). Sulla base del rispetto di queste linee guida, la Commissione Europea valuterà i Recovery Plan dei Paesi e autorizzerà l’erogazione dei fondi. Al tema dell’approvazione dei Recovery Plan e dell’erogazione dei fondi per il raggiungimento degli obiettivi definiti nel piano, si lega anche il meccanismo di sicurezza noto come Super Freno di emergenza. Si tratta di un meccanismo inserito su proposta del presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, che consente di “tirare il freno” e bloccare l’erogazione dei fondi, qualora si ritenga che una delle misure presentate da uno degli Stati Membri presenti gravi criticità. In tal caso, l’erogazione dei fondi comunitari per quella misura verrà bloccata e la misura incriminata sarà portata con urgenza sul tavolo del Consiglio Europeo o dell’Ecofin (Consiglio economia e finanza, al quale partecipano tutti i ministri dell’Economia dei paesi Ue) per essere ridiscussa.
Adesso, chiarito che l’erogazione del Recovery Fund è vincolata all’approvazione del Recovery Plan andiamo a vedere cosa prevede il piano dell’Italia per avere accesso ai fondi.
Il documento inviato dal governo ai presidenti delle Camere con le linee guida per i progetti del Recovery plan si intitola “Piano nazionale di ripresa e resilienza – Next generation Italia” e individua 6 macro obiettivi che riguardano in particolare:
1. la digitalizzazione, l’innovazione e il miglioramento della competitività del sistema produttivo nazionale
2. la rivoluzione verde con una transizione ecologica dell’Italia
3. gli investimenti per infrastrutture e mobilità
4. gli interventi a favore del mondo dell’istruzione, formazione, ricerca e della cultura
5. l’equità sociale, di genere e territoriale
6. il miglioramento dei servizi legati alla salute
Tra le varie proposte di utilizzo dei fondi vi sono già i primi progetti di massima del Recovery Plan che, se portati a termine, avranno un significato anche sulla vita quotidiana delle famiglie. Tra questi se sono un esempio: la riforma dell’Irpef per ridurre le tasse per il ceto medio e i nuclei con figli, l’alleggerimento della pressione fiscale e lo stop agli aumenti dell’Iva e delle accise ma anche la digitalizzazione di pubblica amministrazione e sanità, nonché il potenziamento delle infrastrutture autostradali e la a creazione di una rete in fibra ottica e sviluppo del 5G in modo da colmare il gap di disponibilità della rete internet.
In definitiva, il Recovery fund è un accordo storico. Infatti, mai prima d’ora l’Unione europea aveva accettato di creare debito comune per finanziare i Paesi Membri, e l’idea di un debito comune europeo era inimmaginabile, ad esempio, per la Germania, da sempre sostenitrice delle politiche di rigore, o per i Paesi nordici contrari fino a poche settimane fa. Si tratta dunque non solo di una grande occasione per ottenere risorse, con cui reagire alla crisi da Coivd19, ma anche una prova di forza e di unione politica da parte dei Paesi membri dell’UE, che potrebbe segnare il superamento delle divergenze e una svolta nelle politiche europee, dando un segnale di forza e di un'Europa veramente unita.
Se volete continuare il viaggio alla scoperta del mondo della finanza e delle dinamiche macroeconomiche che sempre di più influenzano la realtà in cui viviamo continuate a seguirci!
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