Spieghiamo perché la prevista riduzione dei prezzi core non c'è stata.
La colpa è del mercato immobiliare, che negli USA non accenna a ridimensionarsi.
Prima del crollo immobiliare del 2008, il maggiore aumento dei prezzi delle case mai registrato era stato del 29%.
Negli ultimi due anni invece i prezzi delle case sono esplosi del 37% (e mensilmente sono aumentati del 45% da marzo 2020). Il motivo è che dal 2008 l'offerta di immobili non è mai piu' tornata ai livelli precedenti, creando una cronica scarsità a fronte di una domanda che è stata in crescita fino al 2019.
E' vero che oggi, a causa della stretta monetaria della Fed, il tasso medio sui mutui a 30 anni è balzato dal 3% di inizio anno al 5-6%. E questo certamente sta contribuendo a ridurre la domanda di immobili.
Tuttavia, l'offerta è talmente scarsa da non essere sufficiente nemmeno per una domanda ridotta. Al momento, gli effetti delle politiche della Fed sui mutui stanno solo escludendo i ceti medio-bassi dal mercato immobiliare, senza pero' ridurre la domanda al punto da avere un impatto sui prezzi.
In piu', i ceti che non possono piu' premettersi l'acquisto con un mutuo, sono spinti a cercare un alloggio in affitto, con la conseguenza che ora gli affitti sono aumentati del 26,6% dal 2019.
E dato che gli affitti rappresentano circa il 38% del calcolo dell'inflazione, ecco che questa situazione ha annullato, almeno per ora, gli effetti positivi che poteva avere l'aumento delle scorte di magazzino.
Molly Boesel, economista principale di CoreLogic, nel suo rapporto sull'indice degli affitti unifamiliari (SFRI), ha dichiarato: "Ad aprile, la crescita degli affitti ha esercitato pressioni a rialzo sull'inflazione, che è aumentata a tassi che non si vedevano da quasi 40 anni.
Prevediamo che la crescita degli affitti unifamiliari continuerà ad aumentare a un ritmo rapido per tutto il 2022".
Possiamo dire quindi che ora l'inflazione è arrivata a uno stallo per il sovrapporsi di due effetti simultanei e contrari: quello a ribasso dovuto alle scorte e quello a rialzo dovuto agli affitti. Molti dati iniziano già a segnalare un forte rallentamento dell'economia negli USA, la Fed è ancora legata alla narrativa: "L'economia americana è forte, quindi può gestire tassi più elevati".
Come è possibile questa contraddizione?
Il motivo è che la prima rilevazione calcola il numero di "posti" occupati, mentre la seconda il numero di "persone" occupate. Il numero di "posti" di lavoro è dunque aumentato, perché è aumentato il numero di persone che svolgono due lavori.
Lo possiamo capire analizzando i dati con piu' accuratezza. I dipendenti a tempo pieno sono diminuiti di 70.000 unità da marzo, cosi' come i lavoratori part-time sono diminuiti di 326.000 unità.
Al contrario, i "posti" di lavoro sono saliti al massimo post-Covid di 7,541 milioni. Questo perché gli occupati "multipli" (quelli che occupano due o piu' posti di lavoro contemporaneamente) sono aumentati di 239.000 nel solo mese di giugno, mentre i lavoratori a tempo pieno e part-time sono diminuiti rispettivamente di 152.000 e 326.000 il mese scorso.
Questo ci dice due cose: La prima è che gli americani a basso reddito (quelli che abbiamo visto essere costretti ad andare in affitto e che rischiano anche di perdere il lavoro) stanno reggendo la maggior parte del peso sociale della stretta monetaria della Fed.
La seconda è che l'entusiasmo della Fed (e dei media) sul mercato del lavoro statunitense e quindi sull'economia americana "forte" potrebbe non essere così. La Fed prima o poi dovrà tornare sui suoi passi abbassando nuovamente i tassi. Dal punto di vista che ci interessa, quello delle borse, la morale della favola è che il nuovo ciclo rialzista è solo rimandato di qualche mese...
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